venerdì 17 aprile 2020

Cedesi DNA

A dicembre mi sono regalato un kit sul DNA, uno di quelli che va tanto di moda e che dovrebbe indicarti le tue origini. Il solo fatto che potrebbe rivelare a un razzista di avere antenati “non di razza pura” basterebbe a farlo diventare obbligatorio per tutti.

Comunque, nel mio caso, sono contento di vedere confermato quello che già sapevo.
A fronte di un DNA per il 60,6% Italiano, il resto si divide tra Nord Africa e Medioriente. Non male. Quasi il 40% rappresentato quindi da un’area molto coerente e omogenea, del resto il mio cognome è molto diffuso in Marocco e in famiglia ci vantiamo sempre delle nostre origini. Resta solo quell’1,8% di Scozzese, Irlandese e Gallese, che è la vera sorpresa, forse qualche marinaio sbadato al tempo dei Normanni.

 Finita la parentesi autocelebrativa si apre la questione privacy.
Come è stato più volte sottolineato, se in passato condividere dati personali risultava una violazione della nostra sfera personale, adesso lo facciamo volentieri e spesso paghiamo per poterlo fare.
Il sistema di per se è geniale.
Se Governi o aziende private ci avessero chiesto le foto dei nostri figli ovviamente avremmo rifiutato; invece è da anni che condividiamo ogni aspetto della nostra vita sui social e siamo ben contenti di farlo in cambio di like e della voglia di soddisfare il nostro desiderio di egocentrismo.

Prendiamo ad esempio questo kit del DNA e immaginate per un attimo che il nostro Governo decidesse di fare una mappatura di tutti gli italiani e chiedesse a ognuno un tampone. La levata di scudi sarebbe unanime, si griderebbe alla dittatura e a ogni altro genere di fantasia scaturita da menti attente ma che vivono forse nell'epoca sbagliata. Già anni fa abbiamo assistito alla polemica sulla volontà di inserire le impronte digitali nella carta di identità, una polemica inutile visto che i nostri documenti avevano già ogni genere di informazione sul nostro contro ma soprattutto, ancora più inutile oggi che, utilizzando le nostre impronte per sbloccare gli schermi dei nostri telefoni, stiamo già regalando i nostri dati alle multinazionali.

Comunque, come dicevo, adesso non solo stiamo dando ad aziende sconosciute il nostro DNA ma paghiamo anche per farlo, il che è assurdo se ci pensate.
Chi utilizzerà questi dati e a quali fini? Chi son queste aziende? A chi appartengono? A questo punto non sarebbe più sensato che fossero i Governi a gestire queste informazioni così delicate? Non parliamo dei dati di una carta di credito, ma del DNA, la mappatura dell’essere umano, la cosa in assoluto più importante che ci possa essere.

Di tutte queste domande l’osservazione più incredibile è il fatto di come siano riusciti, cambiando il modello comunicativo, ad avere da noi ogni genere di informazione e a farsi dare pure dei soldi. Altro che pericolose dittature che rischierebbero di far ribellare la gente! Hanno rispolverato il vecchio e sempre valido “panem et circenses” Romano.
Tenete un popolo sazio e divertito e lui farà tutto quello che volete.

A volte il vero male si manifesta nel genio.

mercoledì 8 aprile 2020

Di seguito un mio articolo apparso sulla rivista "Morel, voci dall’isola": https://bit.ly/3aWappU

Parlo di "esistenzialismo" come chiave di lettura di questa crisi, di Sarte, di Camus, di Taoismo e di altro.

Buona lettura.

"Ritorno all’esistenzialismo; per la nascita di una nuova società dalle ceneri del Covid-19.

In questi giorni sto rileggendo Sartre, o meglio, un saggio scritto da Sarah Bakewell dal titolo “Al caffè degli esistenzialisti” e pubblicato in Italia da Fazi Editore.

Ho pensato che l’esistenzialismo, questa corrente che influenzò il mondo dal secondo dopoguerra fino all’inizio degli anni 80 dello scorso secolo, potrebbe essere oggi la nuova chiave di lettura per questo tempo afflitto dalla pandemia che ha reso, mai come oggi, il nostro futuro così incerto.

Sartre lavorò alla sue idee durante i tragici giorni della seconda guerra mondiale, e quando nel 1945 li espose al mondo questo causò un inaspettato terremoto negli animi e successivamente nella società per i decenni a venire.

Ma qual era lo scenario europeo all’indomani della guerra? I popoli avevano raggiunto l’apice della loro civiltà, e votati ciecamente ai loro governi si erano gettati in una guerra fratricida culminata nelle esplosioni di Hiroshima e Nagasaki. Quale fiducia potevano ancora avere questi sistemi costituiti? Non è un caso che il concetto di Europa Unita nasca proprio per mettere da parte ogni nazionalismo e tentare di costruire un mondo nuovo, senza barriere o leaders.

Ma come gli uomini potevano gestire questo ammasso di macerie sia fisiche che morali? Quale rinnovamento poteva essere all’altezza dei tempi?

La risposta venne da Jean-Paul Sartre che nel suo saggio La fine della guerra, pubblicato nell’ottobre del 1945 esortò i propri lettori a scegliere che tipo di mondo volessero, e a realizzarlo: “A partire da oggi”, scrisse, “dobbiamo sempre tenere conto della nostra consapevolezza di poter distruggere noi stessi quando vogliamo, con tutta la nostra storia e, forse, anche la vita stessa sulla Terra. Nulla ci ferma, eccetto la nostra libertà di scelta. Se vogliamo sopravvivere, dobbiamo decidere di vivere.”

Come in un nuovo Rinascimento o Illuminismo, l’uomo veniva posto nuovamente al centro dell’attenzione. E se in passato a essere scavalcati furono i dogmi religiosi, adesso erano quei sistemi statali che si erano posti al di sopra di tutto, trasformando le menti in masse da utilizzare a proprio piacimento.

Ma quale può essere il legame tra Esistenzialismo, Covid-19 e le sue conseguenze?

Se nel dopoguerra la sfiducia verso i governanti fu causata dall’aver trascinato l’Europa in guerra, oggi deriva dall’incapacità della classe politica di proteggere i cittadini e dal suo porre la salvaguardia del modello capitalista come priorità rispetto alla tutela della vita e della salute di milioni di persone.

Quella di oggi è una guerra, al momento senza bombe, una piaga silenziosa che oltre ai morti ha portato al blocco delle nostre vite e della nostra società mettendoci davanti al fatto che nulla sarà come prima una volta finita questa emergenza.

Ogni giorno in più di quarantena cambia ulteriormente il nostro futuro. È come una storia fantascientifica dove ogni azione influenza definitivamente i giorni a venire. Più ci allontaniamo dal momento in cui è scoppiata questa tragedia e più mutano le carte in tavola ridisegnando numerosi futuri alternativi che possiamo solo immaginare di volta in volta.

Riguardo la trasformazione improvvisa delle nostre vite ci tornano familiari le parole di Albert Camus nel romanzo “La Peste”: “tutti questi cambiamenti, in un certo senso, sono stati così straordinari e si sono compiuti così rapidamente, che non è stato facile considerarli come normali e duraturi”.

Come si pone quindi in questo contesto il nostro essere? Cosa possiamo fare?

Il nemico di oggi non sono i costumi morali, ma il sistema economico, quel capitalismo che col crollo dell’Unione Sovietica ha avuto terreno fertile per imporre il suo sistema, ed è allora che è necessario questo periodo di tregua, di riflessione e di ritorno alla definizione di essere umano.

Bisogna creare un uomo nuovo, perché è dove non c’è evoluzione dello spirito e durante i periodi di grande stagnazione morale che scende l’oscurità, non a caso qualcuno disse: “il sonno della ragione genera mostri”.

Ma come otteniamo questa rigenerazione morale?

Anche qui Sartre aveva le idee chiare, la risposta è nella stessa libertà dell’uomo, una libertà che se compresa ci permette di reinventare chi siamo e il mondo in cui viviamo, rompendo le catene di quel sistema che ci ha abituati a pensare per noi e ci ha anestetizzati muovendoci a suo piacimento.

Lo scrittore francese lo spiega in modo chiaro: “Non c’è un cammino tracciato per condurre l’uomo alla sua salvezza; egli deve costantemente inventare questo suo cammino. Tuttavia, nell’inventarlo, egli è libero, responsabile, senza alibi, e ogni speranza di esserlo risiede in lui.”

Abbiamo pertanto due argomenti fondamentali, il primo è che non esiste un cammino già definito, e questa idea si contrappone alle rigide catene della società che ci impongono uno stile di vita già pensato da altri, e poi c’è il concetto dirompente di libertà, perché qualsiasi rivoluzione sia fisica che interiore parte dal coraggio di prendere in mano la propria esistenza e di farne ciò che si vuole.

Il concetto filosofico qui va anche oltre, perché siamo anche davanti al concetto di “think out of the box”, ogni cosa può essere reinventata da noi perché non esiste un modo unico per risolvere un problema, come anche per affrontare la vita.

Lo stesso Taoismo ha questo concetto insito nella sua dottrina, il Dao De Jing, il libro da cui nasce questa filosofia inizia in un modo dirompente: “La via che è veramente via non è una via costante.” Qui la via è il Dao (道), che in Cinese indica anche la virtù. La frase, che da sola potrebbe riassumere tutta la dottrina, può essere letta in diversi modi, ma comunque ogni interpretazione è simile, ovvero: ciò che noi possiamo definire Via (Dao/Virtù) per essere tale, non deve essere costante. Deve essere in perenne mutamento. Una vita uguale a se stessa non può essere definita vita.

Da qui possiamo riallacciarci al pensiero di Sartre e alla sua applicazione attuale. Solo mutando la nostra stessa esistenza possiamo intraprendere un percorso nuovo, virtuoso. Per farlo dobbiamo riacquistare la libertà, fuggire dal vecchio sistema e crearne uno nuovo.

Questo non sarà definitivo, ma durerà fino a quando non raggiungeremo un nuovo apice e poi il conseguente ristagno, finché, attraverso mutamenti che potranno essere di vario tipo, (guerre, pandemie, crisi economiche, cambiamenti climatici) vedremo l’inizio di un nuovo periodo di rinnovamento.

Allora mai come in questi giorni c’è bisogno di rileggere e capire l’Esistenzialismo, perché potrebbe essere quella scintilla che aiuterà il genere umano a uscire da questa tragedia dandogli gli strumenti necessari per costruire il mondo nuovo che lo aspetta."

domenica 5 aprile 2020

Senza Evoluzione non ci sarà una vera Rivoluzione

Il termine “rivoluzione” è una parola amata, ed abusata da tutti, sia a destra che a sinistra, nessuno sfugge al suo fascino, nessuno può fare a meno di invocarla come promessa in un’eventuale successo politico o di qualsiasi altro grandioso passo che si sta per compiere in un determinato ambito.
Si elegge un nuovo direttore? Sarà una rivoluzione! Viene lanciato sul mercato un nuovo dispositivo? Ovviamente siamo davanti ad un prodotto rivoluzionario!
Arriva una rivoluzione? Allora è il caso di dire che sarà proprio una rivoluzione!

Personalmente però non amo molto questo termine, basterebbe riflettere un attimo sul significato della parola stessa per dissociarsene immediatamente.
Scientificamente, Il moto di rivoluzione è il movimento che un pianeta o un altro corpo celeste compie attorno a un centro di massa.
In pratica è il tempo che impiega un pianeta a tornare al punto di partenza, di solito, per convenzione, a questo tempo abbiamo dato il nome di "anno".
Vista così, la rivoluzione non ci fa proprio una bella figura, produrre una tale energia per poi ritrovarsi sempre allo stesso posto non può essere considerato un successo. E di fatto, almeno nella storia, tutto quello che noi definiamo come "rivoluzione", è stato solo un cambio di vertice repentino senza passare dai normali strumenti democratici.
Di solito questi moti popolari sono terminati con il restaurarsi dei vecchi sistemi, o con la creazione di nuovi equilibri non dissimili dai precedenti.
Dunque, ormai, credo che il termine rivoluzione vada messo in soffitta per un po' di tempo, per lasciare spazio a nuovi modelli di sviluppo ed a parole che diano nuovo senso alle nostre azioni. Concetti semplici che però illuminino le menti, segnando nuovi approcci a problemi antichi.
Ormai è da tempo che nella mia mente ruota una sola fortissima parola: EVOLUZIONE! Perché è questo che credo manchi alla nostra società, una evoluzione che porti all'abbandono di vecchi modelli in favore di nuovi. Evoluzione spirituale ed interiore, ciò che porta un uomo ad elevarsi costantemente, a non essere mai lo stesso di ieri, e a non aver paura di cambiare pelle. Perché diciamoci la verità, la gente ha paura di cambiare, ha paura di abbandonare le sue certezze, benché false e ormai fallimentari, l'essere umano preferirà sempre una rivoluzione ad una evoluzione, fa parte della sua natura, del suo ripetere la storia mille e altre mille volte ancora, pur di non fare un salto nel buio ed evolversi.
Spesso penso che l'essere umano debba anche ancora progredire dal punto di vista fisico e soprattutto celebrare. Certi atteggiamenti primitivi, come l'odio, l'invidia, la paura e la conseguente aggressività, sono tutti retaggi che influenzano fortemente il nostro presente, retaggi che impediscono lo sviluppo e l'evoluzione del genere umano.
Finché non saliremo un nuovo gradino nella scala evolutiva non potremo aspettarci nulla di nuovo dal mondo in cui viviamo. 
Evolversi per migliorare e sopravvivere, ecco a cosa dobbiamo ambire. 
Anche in politica è la stessa cosa, il nostro paese non ha bisogno di rivoluzioni, ma di evolvere un sistema ormai fermo da decenni, di innovare, di sviluppare, di accrescersi. 
Le rivoluzioni hanno portato solo milioni di morti, ma l'evoluzione ci ha dato il progresso e tutto quello che ne consegue.
Forse è questo il motivo per cui non amo ripetere sempre gli stessi schemi nella mia vita, voglio sempre provare cose nuove, fuggire alla monotonia ed al ristagno della vita quotidiana.
Alzare l’asticella per poi superare i propri limiti è un esercizio che dovremmo compiere quotidianamente, per migrare dal concetto rivoluzionario a quello evolutivo.
Non provarci sarebbe da folli, o forse, solo da rivoluzionari!

Ogni impedimento è giovamento

In questa vita, non sai mai quanto un'azione compiuta in un determinato periodo possa poi avere ripercussioni nel futuro, e questa regola vale per tutti, sopratutto se di mestiere suoni nei Queen. 
Questa breve storia parla di una serie di incontri e contaminazioni tra la band inglese e Michael Jackson.
"Hot Space" è unanimamente riconosciuto come il peggior album della band inglese. Nato sotto una cattiva stella, i quattro musicisti londinesi lo giustificarono come la voglia di provare qualcosa di nuovo e di sperimentare un sound diverso, di certo una scelta azzardata quando sei una rock band e rischieresti di compromettere la tua carriera solo per la voglia di metterti in gioco. 
Ma cosa c'entra questa storia con Michael Jacksos? Beh, presto detto. Nello scenario musicale mondiale i Queen erano reduci dallo strepitoso successo di "The Game", l'album più breve della loro carriera, poco più di 35 minuti di ascolto, ma che conteneva "Another one bites the dust", in assoluto il singolo più venduto nella storia della band, pezzo che gli aveva fatti affermare nel mercato statunitense, soprattutto tra la comunità afroamericana che rappresentava adesso una fresca piazza da invadere. E fu proprio Michael a sancire il successo dell'album suggerendo di far diventare il pezzo scritto da Deacon un singolo. Senza il suo contributo questo brano non avrebbe così influito sulle scelte stilistiche della band da li a poco. In pratica un nuovo lavoro non era solo atteso, ma gli avrebbe forse fatto conquistare definitivamente l'immortalità. Ma così purtroppo non fu. La verità sta altrove, molto probabilmente, visto il successo mondiale di "Another one bites the dust", i quattro musicisti vollero speculare sull'accaduto e bissare gli incassi producendo un album totalmente funky e dance. In più, cosa accertata, Hot Space è frutto di un capriccio di Mercury, che in quel periodo era succube del suo assistente personale Paul Prenter, il quale insistette per questo cambio dance della band, per avere un sound che ricordasse, come affermò Roger Taylor in un'intervista, l'atmosfera di un gay club. Infine l'operazione era anche fortemente voluta dal bassista John Deacon, che essendo autore di "Another one bites the dust" si sentiva titolato a dettare la linea di questa svolta dance.
"Hot Space" fu registrato in Germania, in un clima teso e cupo, lontano dai paesaggi incantati come quelli di Montreux in Svizzera dove vide la luce, ad esempio, "Jazz" uno degli album più belli ed eclettici della band. All'ascolto il disco risulta a tratti imbarazzante, e benché comprenda alcuni brani interessanti come "Put out the fire", "Life is real" e "Las palabras de amor", manca completamente di personalità e soprattutto delle solite quattro tracce che nella tradizione dei Queen rappresentano l'ossatura di ogni loro lavoro su cui poi posizionare il resto delle canzoni. Qui abbiamo invece solo "Under Pressure" a tirare l'intero album ed il resto è un lungo disagio. Sembra quasi di ascoltare una di quelle band diventate famose per una canzone, mentre il resto del disco è da buttare. Benché, come ho già scritto sopra, ci sono diversi brani di qualità, tutto il lavoro dei Queen viene distrutto dalla presenza di quelli che dovrebbero essere i brani di punta, orrende stonature come "Dancer", "Staying Power", "Action this day" o "Body language", dei pezzi così brutti che fanno passare in secondo piano tutto il resto, una manciata di minuti che sono bastati a mettere in crisi una band decennale e a segnare una macchia nera nella loro carriera. A seguito di questo album i Queen persero completamente il mercato degli Stati Uniti, per poi rientrarci solamente dieci anni dopo grazie all'utilizzo di "Bohemian Rapsody" nel film "Wayne's World".
Quello che ne seguì fu una crisi della band che non si risolse nemmeno dopo il ritorno alla ribalta con "The Works", album futurista che ancora oggi incanta con le sue sonorità e la struttura solida e coerente, ci volle il 1985 e il "Live Aid" per ridare voglia ai Queen di continuare a suonare insieme, ma questa è un'altra storia. 
Ora, come dicevo all'inizio di questo pezzo, non sai mai quanto un'azione compiuta oggi possa avere effetti negativi o positivi nel futuro, e nel caso di "Hot Space" qualcosa di buono è successo. Nonostante infatti la sua bruttezza, il Re del pop Michael Jackson ha sempre dichiarato di essersi ispirato a "Hot Space" per realizzare il suo album record "Thriller", come questo sia stato possibile lo ignoriamo, ma è anche vero che in alcuni brani, come ad esempio nel finale di "Put out the fire" i vocalizzi di Mercury sembrano anticipare quelli che poi diventeranno un marchio nella carriera di Jackson. 
Non sappiamo in che misura "Hot Space" abbia influenzato il povero Michael, ma possiamo immaginare che senza il suo suggerimento di far diventare "Another one bites the dust" un singolo, e senza quindi la scelta dei Queen di produrre il loro peggior lavoro, l'album "Thriller" non sarebbe stato quello che abbiamo imparato a conoscere, e che quindi, tutto sommato, un significato a certi "incidenti " c'è sempre, del resto in Sicilia amiamo dire: "ogni impedimento è giovamento ", e sembra che questa volta sia proprio andata così.

Fai del bene... e dillo in giro

Ma dove sta scritto che le buone azioni non vanno condivise? Perché se uno fa del bene deve tenerselo per se mentre il male può essere diffuso senza il rischio di ricevere attacchi e polemiche? 
Su Facebook, ma non solo, è il trionfo dei post al veleno, dell'insulto e dell'offesa, questo e molto altro trovano consenso, come se la lamentela e la negatività fossero diventate la normalità in questa epoca.
I cattivi modelli poi si sprecano, oramai da Berlusconi in poi un politico onesto è uno stupido, solo chi ruba può essere degno di stima, così anche per i tanti cattivi esempi prodotti dalla tv spazzatura, antieroi rozzi e cafoni che mostrano al paese che basta essere ignoranti per avere successo. 
Tutto questo è tollerato e amplificato, il bene no. Se fai beneficenza e osi dirlo in giro, arriverà sempre il minchione di turno che ti dirà: "La beneficenza si fa in silenzio". Ma anche no, rispondo io. In questo mondo arido voglio vedere la beneficenza, voglio le buone azioni, i modelli positivi, voglio che personaggi famosi e gente comune condividano il bene, perché forse è l'unico modo per invertire la rotta. Avete presente la frase fatta che dice che il natale deve essere tutti i giorni? Beh non si riferisce al cenone in famiglia, ma a fare del bene e a non scordarlo, perché nella vita c'è anche questo e dobbiamo ricordarlo sempre. Siamo ormai imbruttiti, abituati all'orrore, alla competizione e all'opportunismo. Sui social applaudiamo chi si comporta nel modo peggiore amplificando il male e tutte le sue sfumature.Quindi perchè il male lo esaltiamo mentre il bene tendiamo a soffocarlo? Forse per invidia? Per un senso di inadeguatezza? Forse perchè per fare del male basta il minimo sforzo mentre nel bene bisogna sempre mettere in gioco qualcosa, anche in termini di tempo e denaro?Le ragioni sono tante, ma una cosa è certa, smettiamola di dire che la beneficenza si fa in silenzio perchè questa cosa ha proprio rotto, e soprattutto non è il momento adatto per tenersi fuori dalla mischia.
Ricordiamoci sempre: "il male è una scorciatoia, il bene un percorso."

domenica 29 marzo 2020

Pensieri in quarantena sulla Sicilia

Utilizzando spesso un vecchio luogo comune, amiamo dire che i siciliani sono isole nell’isola e che ogni città o paese, a suo modo, è un’isola a se stante nel panorama di questa enorme massa ti terraferma che ama paragonarsi in qualche modo al mare.
Eppure mai come in questi giorni questa emergenza virus ci ha trasformati tutti in isole, siamo diventati un grande arcipelago chiusi nelle nostre case, in scatole che fino a qualche settimana fa vivevamo come luoghi di passaggio, presi da una frenesia che ci faceva abitare i nostri spazi solo la sera o nei fine settimana.
Oggi invece siamo tutti qui, catapultati all’improvviso in una realtà vista solo nei film o immaginata nei peggiori scenari della Protezione civile. Un cambiamento così rapido che in molti non lo riescono ancora a realizzare, così abituati alle nostre piccole routine fatte, alla fine, di momenti semplici, di contatti umani e di senso di libertà.
Come attraversa la Sicilia questa nuova dimensione? Forse come il resto d’Italia. Noi così abituati a vivere una quotidianità dove l’onirico di mescola al reale, siamo oggi come risvegliati dal nostro tempo del sogno e ci ritroviamo inspiegabilmente con i piedi per terra.
Costretti a eseguire gli stessi ordini del resto del Paese, uniti per la prima volta grazie alla disgrazia, abbiamo abbandonato il nostro quotidiano fatto di piaceri, di cibi lussuriosi, di passeggiate in giardini dal gusto esotico. Abbiamo svestito i panni di semidei, di cui abbiamo amato vestirci in questi secoli, per diventare persone comuni quasi mortali, perché se da un lato il siciliano ha un legame forte con la morte è anche vero che si crede immortale consapevole di essere nato nella terra votata al Dio Apollo.
Allora questo virus è caduto sulle nostre vite come un fulmine lanciato direttamente da Zeus per scompigliare le carte sul nostro tavolo, siamo adesso spettatori delle nostre stesse esistenze, e viviamo un dramma collettivo, chiusi in noi stessi, nelle nostre solitudini, incapaci di abbracciare anche i nostri cari e inconsapevoli di quando torneremo a farlo.
Del resto la domanda che ci chiediamo tutti non è tanto quando torneremo alla normalità, ma se mai ci torneremo e a che condizioni. Quando potremo ricominciare a frequentare luoghi affollati senza il terrore del contagio? Quando potremo abbracciarci con naturalezza?
Improvvisamente la paura ha pervaso il nostro quotidiano e con essa la solitudine, due stati d’animo con cui stiamo imparando a convivere insieme all’ignoto.
E queste isole diventano ogni giorno più impenetrabili, più ci allontaniamo da ciò che eravamo più sprofondiamo in noi stessi, nei silenzi, nello stare giorni senza vedere qualcuno, attaccati più che mai ai nostri telefonini, unico cordone ombelicale col resto del mondo.
Forse siamo ancora all’inizio della tempesta, o forse tutto si calmerà tra poche settimane, di certo noi tutti ne usciremo cambiati e con noi sarà cambiata anche la società. La speranza che portiamo tutti in cuore è che sia l’occasione per una rinascita prima di tutto morale poi del nostro modello occidentale, perché anche se sappiamo che il virus nasce per caso, abbiamo capito che la sua forza propulsiva è stata dovuta proprio al mondo che abbiamo creato, un luogo veloce, iperconnesso, sovraffollato, ma incapace di tutelare i suoi abitanti.
Se perderemo anche questa occasione avremo vanificato il sacrificio di migliaia di persone, e tutto il dolore che in questi giorni stiamo provando, sarà stato inutile.

Foto: Nicolas Raymond

sabato 28 marzo 2020

Il Covid-19 ci ha resi liberi

Premesso che questa è una riflessione personale e che ognuno sta vivendo la quarantena secondo la propria condizione e ogni paragone è inutile, pensavo comunque che questa condizione è forse una delle cose più interessanti che ci sta capitando negli ultimi tempi.
Certamente assistiamo a una tragedia, qualcosa che era meglio non accadesse, una pandemia che sta stravolgendo le nostre vite e a cui in molti non sono in grado di far fronte, ma ormai siamo qui, e dobbiamo adattarci e prendere il meglio da ciò che viene.

Nel mio piccolo mi sono già abituato a questo nuovo stato di cose, e credetemi, non mi capitava da tempo di vivere un momento così sereno, soprattutto privo di ansia.
Viviamo l’azzeramento di ogni cosa, di ogni impegno, di ogni rapporto sociale, via le scadenze, i voli da perdere in orario, i tram da inseguire, le corse per non arrivare tardi a lavoro.
La nostra vita ormai è un continuo stato d’ansia, di telefoni che squillano, di messaggi nelle chat, di mail a cui rispondere, di serate a cui andare e di eventi su Facebook a cui sei invitato. Ma tutto questo è solo un modo per tenerti inutilmente impegnato, è un grande sovraccarico di attività che dovrebbero semplificarti la vita ma che invece sono diventate un enorme peso sulla nostra testa.
Siamo diventati schiavi di quelle comodità che dovevano aiutarci a vivere meglio, e invece sono invasive è hanno reso la nostra vita una scadenza continua.
Sovraccarico, la voglia di fare tutto ci porta a una frenesia costante, ad essere incapaci di goderci l’attimo, il presente, l’adesso. Ormai negli ultimi anni anche programmare una vacanza era un una fonte di stress, perché comunque era impossibile staccare veramente dal mondo esterno che pretende che tu sia connesso e sempre disponibile.

Ora invece, il crollo dell’occidente, è uno dei regali più grandi che avremmo potuto ricevere.
Tutto è fermo, le mail hanno smesso di arrivare, così come gli inviti ad ogni tipo di serata che si preannunciava migliore di quelle precedenti, cancellati i viaggi che avevo già programmato, ogni cosa ha finalmente perso di importanza, o meglio, ogni cosa ha acquistato la dovuta importanza.
Ed ora eccomi qui, in una dimensione nuova, mai accaduta prima, siamo in un tempo senza tempo, dove ogni giorno è uguale a se stesso e per questo ci da la possibilità di non correre ma di dedicarci a noi stessi. 
La società ci vuole impegnati, non liberi, costretti a un giogo perenne a inseguire modelli irraggiungibili che ci fanno sentire solo più insoddisfatti.
Qualche giorno fa un mio amico dalla Sicilia mi ha scritto chiedendomi se secondo me queste restrizioni non sono un serio attacco alla nostra libertà. Lì per lì ho risposto che al momento la priorità è salvare vite umane e far fronte a questa emergenza, ma adesso gli risponderei che non siamo stati mai così liberi in vita nostra.
Certo, non abbiamo la libertà di movimento, ma abbiamo finalmente libertà mentale, una libertà mai avuta prima e che spaventa i Governi perché ciò che il sistema vuole è tenerci sedati e impegnati in cose fondamentalmente inutili. Oggi abbiamo perso tutto quello che credevamo fondamentale fino a un mese fa, eppure siamo ancora vivi e vegeti, e per di più siamo liberi dal giogo della società, non abbiamo più nulla che ci lega a inutili algoritmi che per restare in vita avevano bisogno dei nostri click e delle nostre carte di credito.
Il sistema crolla, l’economia crolla, ma l’uomo, se vuole, resta in piedi. Smettiamola di sbatterci la testa per la sopravvivenza del capitalismo, un sistema che di fatto non mette al centro l’uomo ma il profitto, questa potrebbe essere una grande occasione di rinascita morale, ma dobbiamo essere noi a volerlo.

Chi oggi scalcia perché vuole che tutto torni come prima non ha capito che siamo già su un razzo lanciato nello spazio, e che nulla tornerà uguale a un mese fa. Possiamo adattarci ed evolverci o auto distruggerci, la scelta è nostra.
Ma adesso quello che mi preme è godermi questo stato di grazia, il mio lavoro continua come prima, forse anche più di prima vista la delicata situazione politica che stiamo attraversando, ma tolte le inutili sovrastrutture resta l’essenziale, le cose da fare, e  aver ridotto ogni cosa ai minimi termini ci da l’opportunità di riscoprire noi stessi e di ampliare  il nostro sapere in tutti i modi possibili.
Se riusciremo a rendere utili questi giorni e ad arricchire la nostra anima allora questo sacrificio non sarà stato vano, altrimenti possiamo continuare ad attendere il ritorno di un passato ormai perso e vivere con ansia l’arrivo di un futuro incerto.
Ma nella nostra condizione attuale, quello che ci viene richiesto è solo di stare a casa, e di questa lunga attesa sto prendendo il meglio, prendo il tempo per me, per riposare, per crescere, e per trovare la forza per ricominciare quando ci sarà chiesto di andare a ricostruire il mondo che fuori ci aspetta.